Quello che so di loro
Alessia, Camilla, Melania mi aspettavano nella Sala Riunioni, per stabilire come avrebbero collaborato durante le ore di tirocinio formativo, con me.
Eravamo in ottobre, 2018: ricordo come fosse ieri l’incontro con quei tre visi dagli occhi pieni di curiosità, vivaci, che non ti lasciano lo spazio di guardare altrove. Avevano, in effetti, già deciso che avrebbero seguito ciascuna un progetto, e così fu: semplice, immediato. In quei mesi di tirocinio, Alessia fece un paziente lavoro di riordino dell’opera di Francesca Pasquali, costruendo un dialogo con l’artista e approfondendo la sua indagine, affrontando il continuo cambiamento con ironia e puntualità; Camilla si cimentò in un archivio storico, di un artista concettuale nel bel mezzo del suo rilancio sul mondo del mercato: Antonio Scaccabarozzi, lavorando a progetti espositivi appena coniati e creandone le pagine social; Melania seguì tutto quello che bolliva in pentola, con una attenzione incredibile al dettaglio e alla forma e una sensibilità profonda verso il rapporto con gli artisti.
Ma non era solo una questione di saper fare bene i compiti. Le ragazze, come le chiamo, avevano voglia di fare le cose seguendo anche le loro idee: e le idee non mancavano.
Nacque, così, un progetto espositivo a loro firma, articolato in due spazi, che partendo dalle ricerche scientifiche per le tesi di laurea diventò un vero e proprio evento capace di catalizzare migliaia – dico, migliaia – di persone, che si riversarono nelle loro mostre per un mese e affollarono i social: una si intitolava Contaminazioni, ed era un ambiente immersivo di Francesca Pasquali, curata da Alessia, al Bunker di Brescia; una era una personale di Antonio Scaccabarozzi, delle sue opere più concettuali e meno viste, a cura di Camilla, a Spazio contemporanea: si intitolò Transient perché in quelle opere ci passavi attraverso, e loro ti passavano accanto, lievi, potenti; e sempre in questa sede, sotterranea, di Brescia, Melania aveva curato un dialogo tra Silvia Inselvini e Laura Renna, dal titolo Geminantis: si trattava di verificare come il processo creativo continuasse ad avanzare nello spazio espositivo e modificasse la percezione dell’opera nello sguardo/corpo del pubblico. Un successo.
Ci misero dentro performances urbane, concerti sperimentali, visite guidate ad hoc.
Fecero dei gadget e si sostennero con un crowdfunding.
Diventarono ACME Art Lab. Alessia, Camilla, Melania, le iniziali de loro nomi davano origine al nome del loro collettivo.
Ci ho pensato ora, mentre scrivo, che le tre mostre erano fatte in ambienti tutti sotterranei. Nel 1973, Achille Bonito Oliva curò a Roma Contemporanea: era una mostra che partiva dai sotterranei della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, progettati da Luigi Moretti, e usciva fuori, nella città, fino al fiume Tevere. Da Abramovic a Christo, riscrisse il modo di concepire, e esporre, le opere.
In un certo senso, nel loro piccolo, le ragazze han fatto lo stesso. Hanno dimostrato che l’arte contemporanea, fatta da giovanissime curatrici, può essere un evento che travolge e coinvolge. E lo hanno fatto a Brescia. NELLA e PER la loro città.
Era il 2019, la primavera scorsa. Pare passata una eternità.
Da allora, le ragazze han fatto tantissime altre cose, continuando a lavorare con rigore, passione, responsabilità. Sono le tre parole che senza pensarci associo a loro. E sono i motivi per i quali ogni volta ho un progetto importante, le chiamo a bordo. Perché loro ci credono davvero, sanno dove sono, sanno cosa fare. Non diranno mai niente di ciò che non pensano: le ragazze sono per me un interlocutore importante, mi fido di quello che pensano. A volte sono io che imparo da loro. E meno male. Vuol dire che il mondo va avanti, se dei giovani hanno la capacità di im-porsi sulla scena: e di voler fare, della scena, un teatro di vita e arte.
Ilaria Bignotti, 30 aprile 2020
Fotografia © Emilia Rombolà