ACME ArtBOARD #4: Serena Nicolì
ACME ArtBOARD è una rubrica pensata per avvicinare il pubblico e fornire un nuovo approccio all’arte contemporanea, coinvolgendo artisti giovani ed emergenti che, raccontandosi, svelano il loro modo personale di essere Artisti.
Lo strumento utilizzato è il moodboard, letteralmente “tavola di stile”, una serie di immagini unite tra loro come in un collage che serve a mostrare in un formato visivo un progetto e tutti gli elementi ad esso correlati, anticipato da una breve intervista.
Gli artisti si sono fatti conoscere partendo dalla formazione e arrivando alle loro aspirazioni future, creando una composizione in cui vengono mostrati i loro spunti creativi, i materiali a loro affini e gli strumenti del fare. Ogni artista interpreta in modo originale ed unico il moodboard, fornendo al lettore scenari inediti utili a comprendere il significato di essere Artista a 360 gradi.
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L’appuntamento di questo mese è con Serena Nicolì.


ACME – Cosa ti ha spinto e perché ad iniziare gli studi/la carriera di artista?
SN – È difficile spiegare a parole cosa spinge ad iniziare questa carriera… perché per me fare ed essere un’artista hanno una piena corrispondenza: artisti si è in qualsiasi momento della propria vita. Fin da piccola ho avuto un particolare interesse per le arti visive, anche se i miei primi studi non si sono orientati da subito in quel campo. I percorsi di tutti sono diversi. Il mio è passato prima per alcuni paesi del mondo, dove sono stata per motivi di studio, di piacere o di lavoro. Di certo senza queste esperienze anche la mia ricerca nelle arti visive non sarebbe la stessa oggi. È stato due anni fa, nel 2018, dopo aver coltivato un periodo come autodidatta, che ho scelto di iscrivermi all’Accademia. Sentivo, infatti, ormai la necessità di un percorso formativo solido. Credo che per progredire sia sempre importante studiare, avere dei bravi maestri. Nel momento in cui ho scelto mi trovavo in America Latina, vivevo e lavoravo in Ecuador, un paese stupendo che ho amato tantissimo e dove avevo una stimolante carriera all’Università. Non ho mai avuto paura di lasciare tutto questo per l’arte, tutti i cambiamenti della mia vita mi hanno sempre proiettata in avanti, le difficoltà incontrate le ho affrontate con la convinzione che oltre ci sarebbero state le soddisfazioni più grandi. Per me fare l’artista non era solo un desiderio, era ed è finalmente un voler essere e vivere pienamente ciò che sono.
ACME – Quali sono le tue aspirazioni per il futuro?
SN – L’aspirazione più grande, che sento con responsabilità, è quella di incidere significativamente sul piano germinativo che caratterizza il terreno fertile dell’arte per partecipare e coinvolgere al battito culturale del nostro tempo.
Mantenendo un pizzico di ingenuità e un senso del ludico e del piacere, spero di riuscire a fare un’arte che parli del recupero del senso, quello profondo e universale che lega tutte le persone e le richiama alla bellezza dell’essere e dell’esserci in ogni tempo. La riflessione è ancor più profonda rispetto al periodo storico che stiamo vivendo, che ci riporta a nuove e antiche dimensioni allo stesso tempo e, ancora una volta, tutte da scoprire.
Vedo risultati nella misura di un grande impegno, nell’esercizio di una tenacia costante, di una dedizione forte e nella profusione di un amore vissuto e concreto.
Credo profondamente nei processi partecipativi come luoghi privilegiati dello scambio intellettuale e basi per la maturazione del lavoro. Per questo in futuro mi piacerebbe stabilire collaborazioni sempre più proficue con diversi artisti. Qualcuna sta già nascendo. Penso e spero che saranno tutte non solo occasioni di crescita importanti, ma tasselli fondamentali del percorso. Sono anche consapevole della presenza e della necessità di tutte quelle figure professionali che ruotano attorno al sistema dell’arte e che possano intuire e sostenere il lavoro dell’artista oggi.

IL MOODBOARD
Ogni tanto le leggo e le medito ancora. Quelle parole estratte da una lettera che Sol LeWitt scrisse a Eva Hesse e che ho voluto inserire nella fotografia sul mio corpo. Le trovo potenti nella loro semplicità e oltre ogni tempo come le loro opere. Sono come un eco del mio fare.
Nel mio operare visivo, quel “DO [fare]”, quel fare che per me è processuale, parte proprio da uno spazio fisico e interiore, amato e sconvolto, in cui esamino il passaggio dalla determinatezza di forme e pensieri a un terreno indeterminato. In questo spazio d’azione che si crea, prediligo il corpo come elemento base dell’espressione che innesca con la materia una forte relazione a partire dalla manipolazione degli elementi con cui lavoro. Scelgo spesso le fibre tessili, prevalentemente naturali, unite ad altri materiali organici e non, come mezzi d’espressione più idonei a suggerire il senso della mia poetica. Nel legame delle corde, dei fili, delle reti e dei tessuti, in questo fare annodato voglio comunicare il senso della relazione, il significato del procedere. La trama è per me sia l’intreccio della materia che la storia del percorso.
In una sorta di legame liberatorio che sento, mi avvalgo di tinte neutre, ma uso anche colori forti, a seconda del contenuto, della morbidezza o della visceralità che incarna l’opera. In diverse mie ricerche, ad esempio, è presente il rosso, vivo rimando alle membra.
Anche la parola accompagna spesso i miei lavori o ne è parte. È, infatti, per me correlata o talvolta integrata alla dimensione espressiva come un portale che apre verso altri mondi.
I temi che indago, come la rilettura delle geografie biografiche, identitarie e culturali, sia personali e vissute che collettive ed immaginate, sono determinati anche dalla dimensione di internazionalità che ha sempre accompagnato la mia vita.


Serena Nicolì
Sono nata nella primavera del 1985 a Varese. I miei genitori vivevano lì con mia sorella mentre conducevano una vita idealistica, già iniziata come volontari tra Roma e Sao Paulo do Brazil. Subito dopo la mia nascita ci siamo trasferiti a Brescia. Fin da piccola nella mia vita c’è stata la dimensione dinamica del viaggio.
Poi gli studi in Relazioni Internazionali mi hanno portata a risiedere e lavorare in alcuni Paesi del mondo. Ho viaggiato e vissuto in diverse nazioni, dalla Spagna all’estremo Oriente (Cina), all’America Latina e nel 2012 mi sono stabilita a Quito, in Ecuador, dove sono rimasta per quasi sette anni. Sono stati viaggi fisici e dell’anima, cammini di fatica e passione, permeati dal cambiamento costante. Queste esperienze nei Paesi stranieri influenzano profondamente la mia ricerca nelle arti visive. Il biennio specialistico in Arti Visive Contemporanee, che ho frequentato negli ultimi due anni 2018-2020 presso l’Accademia di Belle Arti SantaGiulia di Brescia, mi ha consentito di maturare istanze e competenze, fondamentali per la prosecuzione della mia ricerca artistica.